giovedì , 5 Dicembre 2024

Luigi Agostini. Controllo dei suoni nello spazio.

Controllo dei suoni nello spazio.

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di Luigi Agostini

Il surround (quello dolby™ o DTS™ per intenderci) è soltanto uno degli infiniti modi di fare audio multi-canale ma non è una vera e propria spazializzazione…

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Mi chiamo Luigi Agostini e dal lontano 1997 (ahimè, il tempo vola) mi occupo di audio multi-canale, tridimensionale e non. Ringrazio vivamente i creatori di Sound Art Zone per lo spazio che mi concedono e, senza perdere altro tempo, (non vorrei annoiare nessuno) comincio subito a trattare l’argomento che mi è stato suggerito, cioé la spazializzazione del suono. Comincio scongiurando subito l’equivoco che si verifica quasi sempre, cioè quello di confondere il surround con la spazializzazione. 51dolbyIl surround (quello dolby™ o DTS™ per intenderci) è soltanto uno degli infiniti modi di fare audio multi-canale ma non è una vera e propria spazializzazione, anzi, per certi versi, ne costituisce addirittura l’antitesi perfetta. Semplificando ai minimi termini, potremmo dire che la differenza più evidente sta nel posizionamento dei diffusori acustici. Nel surround questa posizione è (meglio ancora dovrebbe essere) obbligata e pensata per un ascolto ottimale in un singolo punto specifico (hot spot). Nella spazializzazione abbiamo esattamente il contrario, i diffusori possono essere posizionati quasi liberamente (ovviamente non ammucchiati in un angolo) e l’hot spot è molto più largo, potremmo parlare tranquillamente di un area ottimale per più ascoltatori. Da quanto appena detto si evince chiaramente che la spazializzazione può funzionare anche se i diffusori sono disposti come previsto nel surround, mentre non è possibile far funzionare correttamente il surround cambiando la disposizione dei diffusori. Perché? Il problema sta nell’algoritmo utilizzato per ricreare il soundscape (paesaggio sonoro, inteso nell’accezione più ampia del termine cioè come un ambiente con connotazione acustica definita e motivazioni di ordine estetico) sensibilmente diverso nei due casi. Un algoritmo, in matematica e informatica, è semplicemente una sequenza obbligata di operazioni da calcolare. Ovviamente le operazioni possono essere anche molto complesse, visto che esistono sequenze (algoritmi) che possono eseguire anche lo pseudo-ragionamento automatico. Ebbene, nel surround e nella spazializzazione, anche se i parametri e i valori utilizzati sono gli stessi, cioè gli stessi numeri che esprimono metri, secondi, gradi o radianti, quel che fa la differenza, per dirla in parole povere, è la sequenza di operazioni scelta. Senza addentrarmi troppo nell’aspetto scientifico del problema, posso tranquillamente utilizzare un aspetto empirico per permettere a tutti di capire da ora in poi la differenza tra i due sistemi semplicemente ascoltandoli, effettuando cioè una comparazione diretta. Utilizzando un sistema 5.1, ascoltate una scena di un film dove un singolo attore sta parlando da fermo. Se il suono della sua voce proviene da un singolo diffusore o tre al massimo e gli altri non la riproducono si tratta di surround, se esce anche in minima parte da tutti i diffusori si tratta di spazializzazione. Ovviamente il test non ha valore assoluto, ma per un primo approccio valutativo è un elemento importante e spesso discriminante. Esistono poi centinaia di tecniche per la spazializzazione del suono, più o meno valide, alcune 2D, cioè che permettono la disposizione dei diffusori soltanto in piano o comunque alla stessa altezza perché l’algoritmo accetta soltanto due coordinate per indicare la posizione del diffusore nello spazio, altre 3D, perché considerano anche la terza coordinata, cioè l’altezza nello spazio reale o virtuale, sia dei diffusori che delle sorgenti audio da spazializzare. Tanto per confutare subito quanto ho appena detto nei paragrafi precedenti, calambour divertente utilizzato spesso dal compianto Vincenzo Cerami nei suoi libri, tra i miei preferiti, cito ad esempio il VBAP (Vector Based Amplitude Panning) come sistema 3D in realtà pensato per suonare sempre… da tre diffusori soltanto, anche se ce ne fossero mille a disposizione! Questo per ribadire il concetto che stiamo parlando della differenza tra acqua dolce o salata, sempre d’acqua si tratta in fondo! Anche se, tra l’acqua dei canali che attraversano la mia Livorno e quella che lambisce la spiaggia ExpoPerWebdi Stintino in Sardegna c’è una bella differenza! Per chiarirvi definitivamente le idee, vi spiego brevemente cosa raffigura la seconda immagine allegata a questo articolo, dove i pallini bianchi sono diffusori incassati (!) nel pavimento e il perimetro delimita quello che è stato il cosiddetto “Bosco di Luce” nel padiglione ENEL ad EXPO 2015. Come potete vedere i diffusori seguono una disposizione (apparentemente) casuale distante anni luce da qualsiasi setup surround obbligato, eppure messi in quel modo e “gestiti” utilizzando uno dei miei algoritmi di spazializzazione hanno permesso per sei mesi di fila, giorno dopo giorno, l’ascolto di un soundscape “immersivo” sincronizzato con le luci e (per quanto detto da altri, io che l’ho realizzato con l’aiuto di David Campanini non faccio testo) di alto impatto spettacolare. Il surround una cosa anche lontanamente simile non può farla.

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